Tutti pazzi per l’azzardo

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dal nostro archivio

di Anna Gatti, Alberto Montani

È la terza industria del paese, ma non produce nulla. L’azzardo e le sue illusioni. E lo chiamano gioco…


L’azzardo è un dramma del nostro tempo di cui si stenta a prendere coscienza forse perché ci inganna la parola “gioco” con cui è definito. La parola “gioco” di norma si associa allo svago e al divertimento, ma il “gioco d’azzardo” non è per niente gioioso: quello che genera è solo sofferenza e rovina fino a diventare un vero e proprio problema anche a livello sociale. Abbiamo incontrato Alberto Montani, vicepresidente della Fondazione Antiusura S.Maria del Soccorso di Genova, per capire meglio la portata di questo fenomeno che sta allargandosi a macchia d’olio.

Quanto è grande il problema? Ci può dare qualche cifra?

Il problema è enorme. Basti pensare che l’azzardo è la terza industria del nostro paese dopo ENI e ENEL e siamo primi in Europa per fatturato. Nel 2016 sono stati spesi 95 miliardi e 970 milioni. È come se ogni italiano, compresi neonati e bambini, avesse speso 1600 euro a testa e questo solo per il gioco cosiddetto legale, cioè gestito dallo Stato, perché di quello gestito dalla criminalità organizzata non è dato sapere… La cosa preoccupante è che negli ultimi 10 anni mentre il Pil (cioè l’indicatore dello stato di benessere degli italiani) è diminuito del 10%, il “fatturato” dell’azzardo è raddoppiato. Per lo Stato è certamente un’entrata importante: 8 miliardi nel 2015 e ben 18 miliardi nel 2016. Questo  significa che senza questi importi per lo Stato ci sarebbero grosse difficoltà a far quadrare i conti. Ma questi introiti hanno un costo sociale altissimo tanto che qualcuno comincia a chiedersi se davvero la collettività ci guadagni. Della gravità del fenomeno le autorità (ma anche i cittadini normali) non sembrano rendersi conto. Un esempio per tutti è la recente proroga di un anno che la Regione Liguria ha concesso a tutti quegli esercenti che non si sono messi in regola con la normativa del Comune di Genova, che vietava le installazioni delle slot machines in vicinanza di scuole, circoli giovanili e altri punti socialmente inadatti (vedi articolo nelle pagg. seguenti, ndr). Eppure lo si sapeva da 5 anni. La Regione dice: “Si sarebbero messi a rischio dei posti di lavoro degli addetti al settore…”. È come se, quando si è scoperta la pericolosità dell’amianto, si fosse deciso di continuare a produrlo per non compromettere l’occupazione degli operai addetti alla sua lavorazione!

Negli ultimi tempi l’azzardo si è diffuso nelle nostre città in modo dilagante: non solo le bische o le sale da gioco sono numerose, ma anche il bar o la tabaccheria sotto casa offrono diverse possibilità di giocare d’azzardo: slot machines, gratta e vinci, lotto/superenalotto, lotterie varie… C’è una facilità di accesso e una scelta vastissima che un tempo non esisteva. 

Abbiamo detto prima che l’industria “azzardo” è la terza in Italia e ciò significa che è una potenza dotata di mezzi ingenti. Per la pubblicità si spendono ogni anno cifre colossali: web, radio e televisione ce la portano in casa tutti i giorni e fa tristemente sorridere l’ipocrita esortazione finale di ”giocare in modo consapevole”. Anche il mondo del calcio è stato invaso: qualche anno fa 16 squadre di serie A su 20 erano sponsorizzate da società legate all’’azzardo e ultimamente il presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio ha fatto un accordo con una multinazionale delle scommesse e delle slot machines: la nostra Nazionale pubblicizzerà così l’azzardo sulla sua maglia. E non si salvano neanche i bambini:  cominciano a diffondersi nei supermercati e nelle multisale delle slot machines per loro. Non si vincono soldi, ma ticket per giocare di nuovo; si accumulano più ticket e alla fine si ritira un premio. In questo modo alleviamo futuri slot machines-dipendenti, come se non bastassero quelli che abbiamo già.

Abbiamo dei dati su quanti giocatori problematici ci sono in Italia? 

I giocatori patologici, ossia dipendenti dall’azzardo come fosse una droga, si stima che siano almeno 600.000, ma ve ne sono almeno il doppio fortemente a rischio di sviluppare dipendenza. Dei primi, 12.000 sono in cura presso centri specializzati, ma è molto difficile uscire da questa spirale. Da una ricerca su un campione molto vasto di giocatori patologici eseguita in diverse città d’Italia è risultato che il 34% è operaio, i disoccupati sono il 17,9%, i pensionati il 16,3%, gli impiegati il 12,2%, i commercianti il 6,8% . L’esca del guadagno facile attira purtroppo i redditi inferiori che non hanno certo bisogno di perdere soldi.

La vostra Fondazione in che modo opera?

Noi ci occupiamo prevalentemente di famiglie in difficoltà economiche, a rischio di usura o già cadute in questa trappola. Negli ultimi tre anni le persone che ci hanno chiesto aiuto sono aumentate del 300%. Per i casi dovuti al gioco d’azzardo siamo molto chiari col “giocatore”: “ti aiutiamo solo se ti fai curare” perché abbiamo sperimentato che altrimenti sono soldi buttati. Il percorso è lungo, almeno un anno e coinvolge anche la famiglia. Lavoriamo in collegamento con i Ser.T, cioé i Servizi della Asl per le persone tossicodipendenti, e con i Gruppi di Auto-aiuto dei “Giocatori Anonimi” che sono più competenti in questo settore.


da laGuardia n.4/2017

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