Che fine hanno fatto i mistici?

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dal nostro archivio

di redazione

Fra Cristiano è frate francescano. Vive presso l’Eremo Santa Maria Maddalena, sull’Appennino tra Liguria e Toscana, nella Valle di Adelano. Alle 3.45 del mattino la sveglia; poi una giornata suddivisa tra preghiera, silenzio e lavoro. Nulla di strano per un eremita, ma una scelta difficile agli occhi del mondo. Con lui parliamo di contemplazione e se c’è ancora spazio per l’esperienza mistica, nella nostra vita quotidiana.

Fra Cristiano, cos’è la mistica?

La mistica cristiana consiste nella visione di Dio, nella percezione della sua Presenza, che riporta l’uomo all’umiltà della sua condizione. Questa conoscenza nel presente di questa vita non può essere perfetta. Lo afferma San Paolo: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia» (1Cor 13,12). Ma è Sant’Ireneo di Lione che afferma con chiarezza che la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio: «Quelli che vedono Dio parteciperanno alla vita, perché lo splendore di Dio è vivificante. Per questo colui che è inafferrabile, incomprensibile e invisibile si offre alla visione, alla comprensione e al possesso degli uomini, per vivificare coloro che lo comprendono e lo vedono. Infatti la sua grandezza è imperscrutabile, e la sua bontà inesprimibile; ma attraverso di esse egli si mostra e dà la vita a quelli che lo vedono. È impossibile vivere senza la vita, e la vita consiste essenzialmente nel partecipare a Dio, partecipazione che significa vedere Dio e godere della sua bontà».

Ciò premesso, esistono ancora i mistici, oggi?

Io credo che ci sia ancora spazio per la mistica cristiana oggi, una mistica diversa da quella del passato, forse più “ordinaria” e meno “straordinaria” nelle sue manifestazioni. Non vengono meno i presupposti essenziali: l’umiltà e la semplicità della persona, lo spazio del silenzio, il vivere «con il cuore e la mente rivolti a Dio» in un atteggiamento contemplativo, il riconoscere in Dio «il bene, tutto il bene, il sommo bene», «nulla anteponendo a Cristo», come dice san Benedetto nella sua Regola. Queste sono le condizioni, i presupposti, a che Dio si possa manifestare nella nostra vita, a che Lui possa rivelarsi in noi. Uomini e donne capaci di cedere e abbandonarsi al «cuore che sente Dio» – come diceva Pascal –,  un cuore «capace di ascolto» che sappia riconoscere e seguire la «via che conduce alla vita». Anime a Sua disposizione, al servizio della Chiesa e dei fratelli, per dargli gloria con la vita, perché «la gloria di Dio è l’uomo vivente» e a Lui dovrebbe essere resa la lode, senza atti straordinari, cerimoniosi, solenni, ma nella semplicità dell’ordinario, per indicare a tutti la via di una santità possibile.

Quindi uno sguardo mistico è possibile anche al laico, immerso com’è nelle incombenze del mondo?

Recentemente, a Spezia, è stata beatificata Itala Mela, morta nel 1957. È una laica, una teologa, una mistica e credo testimoni al mondo di oggi che è possibile avere uno sguardo mistico, di sentirsi inabitati dalla grazia di Dio, pur vivendo nel mondo, con i piedi per terra e gli occhi rivolti al cielo, «godendo della pienezza delle Tre persone divine, senza interruzione». Un magnifico percorso di santità, quello di questa santa ligure, adatto a ciascuno perché possibile mediante tutte le attività che ogni cristiano è chiamato a compiere. Una santità dell’ordinario, vissuta nei gesti semplici, quotidiani, spesso nascosti e ripetuti, ma “unti” dallo Spirito Santo, ricevuto per mezzo del Battesimo. Il messaggio di cui è portatrice Itala è quello di richiamare i credenti ad una consapevolezza evangelica di essere “tempio di Dio”, un mistero tra i più affascinanti della nostra fede che diventa realtà attraverso il nostro Battesimo: «Vivere l’Inabitazione è vivere il proprio Battesimo. Sarebbe un grave errore credere che il richiamare le anime a nutrire di questo mistero adorabile la loro vita, sia il richiamarle ad una “devozione” speciale: è piuttosto un invitarle a vivere della grazia che il Battesimo ha loro donato, a penetrare la realtà divina promessaci da Gesù: Veniemus et apud eum mansionem faciemus». E aggiunge che questa non è una cosa “straordinaria”. San Giovanni Paolo II dice che: «Le vie della santità sono molteplici e adatte alla vocazione di ciascuno… Molti laici si sono santificati nelle condizioni più ordinarie della vita. È ora di riproporre a tutti con convinzione questa misura alta della vita cristiana ordinaria».

Chi giunge al tuo eremo, coglie subito la cura del dettaglio e l’amore per il bello, esaltato dalla semplicità francescana. Tu lavori il legno e la pietra e la stessa ristrutturazione dell’eremo è frutto del tuo lavoro manuale. Che ruolo deve avere la bellezza nella nostra vita di fede?

Secondo San Francesco Dio è «bellezza». Lo ripete per ben due volte nella preghiera Lodi di Dio Altissimo. Se Dio è bellezza, custodire la bellezza, che per noi francescani passa necessariamente attraverso la semplicità, è una vocazione. San Francesco è un poeta, un esteta eccezionale, innamorato di tutto ciò che è bello e nel bello che lo circonda scorge un riflesso dell’abbagliante bellezza di Dio che si riflette nelle sue creature. La bellezza è più di un fattore estetico, è più che apparenza, spesso esaltata nella cultura di un estetismo eccessivo. Essa possiede una dimensione etica, religiosa, terapeutica. Gesù è un “seminatore di bellezza”. Papa Francesco ha riportato all’attenzione dei cristiani una questione molto cara a noi francescani che interessa la dimensione dell’evangelizzazione oggi: la via pulchritudinis, la via della bellezza. Non basta che il messaggio sia buono e giusto, secondo Papa Francesco deve essere anche bello, splendente, perché in questo modo arriva più velocemente al cuore delle persone e suscita un amore che attrae verso la conoscenza di Dio.

Nella sua recente visita a Genova, Papa Francesco ha chiesto ai religiosi di essere persone felici. Sei felice della tua scelta?

Mi chiedi se sono felice, realizzato? Ti rispondo con le parole del Vangelo: «Vieni e vedi!».


Nessuno si improvvisa eremita

Fra Cristiano è frate francescano da 23 anni, eremita da 8. Nella fraternità in cui si è formato, ha studiato ed è divenuto sacerdote, è stato chiamato a dedicarsi soprattutto all’animazione giovanile, alla predicazione e alla formazione, al servizio prezioso nell’accompagnamento dei bambini terminali e al sostegno delle loro famiglie. “Sempre nella mia fraternità ho iniziato anche il percorso di discernimento nella vita eremitica – si legge in una intervista rilasciata nell’Ottobre 2016 al quotidiano La Nazione -.  Il percorso è lungo e non sempre è facile comprendere le istanze e le motivazioni di chi sceglie di abbracciare questa particolare vocazione. Al suo sorgere, è solo un’intuizione che ha bisogno di discernimento; alcuni fratelli cercano di dissuaderti, altri ti mettono a contatto con le tante, reali, difficoltà a cui potresti andare incontro. Io ho avuto comunque la grazia di essere accompagnato da persone di grande saggezza, autorevolezza e profonda spiritualità: è essenziale nel cammino avere fratelli che sappiano giudicare benevolmente, guidare, accompagnare paternamente il cammino, correggere, anche solo frenare gli slanci determinati a volte dall’età e dall’inesperienza. Il discernimento è durato molti anni, come è giusto che sia, perché nessuno si improvvisa eremita.”

da laGuardia n.7/2017

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