E dopo 100 anni di ecumenismo?

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dal nostro archivio

di Gianfranco Parodi, Maria Pia Bozzo

Pensiamo che tutti i nostri lettori avranno avuto modo di seguire uno degli ultimi viaggi di Papa Francesco nel 2016, quello a Lund, in Svezia, lo scorso 31 ottobre. E tutti ricorderanno la ragione di quel viaggio: l‘apertura delle celebrazioni dei 500 anni della riforma protestante. Fino a 50 anni fa, tuttavia, protestanti e cattolici si guardavano con diffidenza. I seguaci della riforma erano considerati eretici. Oggi invece molti cristiani guardano con soddisfazione e compiacimento il Pontefice cattolico entrare in un tempio evangelico, abbracciare i pastori e pregare con loro.

Ma è anche comprensibile un certo sconcerto, specie tra le persone più anziane che non sono ancora riuscite a darsi una spiegazione di questa “rivoluzione”. Cosa è cambiato per giustificare un simile capovolgimento di posizioni? Cerchiamo di ricostruire, anche se per sommi capi, cosa è accaduto in Italia e nel mondo negli ultimi 100 anni, e come si è via via formato un movimento ecumenico.

I primi passi evangelici e la svolta cattolica del Concilio

Già nei primi anni del ‘900 in ambito evangelico, come del resto qualche tempo prima tra gli anglicani, erano sorti dei movimenti tesi a promuovere il superamento delle divisioni tra le chiese. La chiesa cattolica si era dimostrata piuttosto fredda verso questi movimenti perché temeva che sotto le parole “attraenti e carezzevoli” dei “cosiddetti pancristiani” si celassero  “l’inganno” e il “gravissimo errore” (espressioni di Papa Pio XI). Alla fine degli anni ’30 inizia un altro tempo del cammino ecumenico che vede partecipe anche la chiesa cattolica, guidata nell’impegno per l’unità dei cristiani da grandi figure quali Yves Congar, Paul Irenée Couturier e Germano Pattaro, che preparano la sensibilità e l’ambiente favorevole all’approvazione, nel Concilio Vaticano II, del decreto sull’ecumenismo (Unitatis redintegratio, vedi box).

Con il Concilio, quindi, anche nella chiesa cattolica, si prende atto che il perdurare delle divisioni, dando al mondo dei non credenti un’immagine assolutamente negativa del cristianesimo, mina la stessa credibilità del messaggio evangelico e si comincia a guardare alle altre confessioni cristiane con occhi diversi e a quei fedeli come fratelli separati con cui dialogare e collaborare. Già nel 1960 papa Giovanni XXIII aveva costituito un Segretariato per l’unità dei cristiani come commissione preparatoria del Concilio che poi divenne, nel 1988, il Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani.

Quando i fratelli si incontrano

Durante il Concilio furono invitati numerosi “osservatori” appartenenti ad altre confessioni cristiane e nel 1965 furono annullate le reciproche scomuniche tra la chiesa di Roma e le chiese d’Oriente. Il documento finale sull’ecumenismo è molto importante perché supera condanne e incomprensioni secolari e promuove tutta una serie di iniziative volte a favorire la comprensione, il dialogo e la collaborazione fra i cristiani. Infatti in quel periodo nacquero diversi organismi bilaterali e multilaterali in cui sviluppare il dialogo.

A quella fruttuosa stagione appartengono anche gli storici incontri (in Vaticano) tra Giovanni XXIII eil Primate anglicano Geoffrey Francis Fisher e (a Gerusalemme) tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora. Anche Giovanni Paolo II fece passi in questo senso promuovendo la redazione di una serie di documenti comuni con le chiese anglicana e luterana, nonché con diverse chiese d’oriente. Memorabile è stato il suo invito alle altre confessioni a suggerire delle modalità condivise per l’esercizio del primato del vescovo di Roma.

Nel 1985 viene pubblicata l’edizione interconfessionale dell’intera Bibbia, frutto del lavoro di un gruppo di esperti e di un nutrito numero di consulenti cattolici ed evangelici che si sono valsi delle migliori edizioni critiche dei testi sacri, anch’esse da decenni curate insieme da cattolici e protestanti. Nel 1993 i Patriarcati  ortodossi e la Chiesa cattolica riconoscono reciprocamente il valore del battesimo celebrato nelle rispettive confessioni. Nel 1999 viene pubblicata la ”Dichiarazione congiunta fra cattolici e luterani sulla dottrina della giustificazione”. Nel 2001 a Strasburgo, viene firmata la Charta Oecumenica quale testo base per tutte le Chiese e le Conferenze episcopali d’Europa. Nel 2013, in previsione del 500° Anniversario della Riforma di Martin Lutero, viene pubblicato il documento congiunto “Dal conflitto alla comunione” che riassume i giudizi condivisi sulla storia e sui conflitti passati, sulle reciproche incomprensioni, sulla necessità del perdono vicendevole.

Gli ultimi papi

Benedetto XVI all’inizio del suo pontificato aveva dichiarato che l’ecumenismo sarebbe stato uno degli obiettivi principali del suo ministero. Diede concretezza a questo suo impegno con diverse iniziative tra cui la visita a Wittemberg, culla del protestantesimo, e la formazione della commissione mista cattolico-luterana incaricata di elaborare il documento sulla giustificazione.

E giungiamo a Papa Francesco. Chi non ricorda il suo discorso di inizio pontificato in cui sottolineò più volte il suo ruolo di “vescovo di Roma”, espressione senz’altro apprezzata dagli esponenti delle altre confessioni cristiane. E poi la stretta collaborazione, diremmo la fraterna amicizia, con Bartolomeo, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, sia sui temi della pace in Medio Oriente che sulla tragedia dei migranti, culminata con la preghiera comune nella cattedrale di Costantinopoli avvenuta lo scorso anno in occasione della celebrazione di Sant’Andrea, che quella chiesa considera suo fondatore. Un altro momento fondamentale è stato l’incontro tenacemente voluto con Cirillo, Patriarca di Mosca, che ha comportato il superamento di resistenze e cautele. E ancora quella visita a Lund, di cui dicevamo all’inizio, per la celebrazione dei 500 anni della riforma luterana, con le preghiere comuni e la recita dell’unico “Credo”. E infine i Vespri concelebrati nell’ottobre scorso a Roma dal Papa e dal Primate Anglicano, Justin Welby.

L’entusiasmo di un passo in più

Se si guarda alla situazione di solo 100 anni fa è indubbio che sono stati fatti dei giganteschi passi avanti, grazie a papi, patriarchi, pastori delle varie chiese che sono riusciti a compiere coraggiosi gesti profetici, ma anche grazie a membri del popolo cristiano che si sono fatti promotori di gesti di amicizia ediriflessione comune (vedi box sul SAE). E’ anche vero che il cammino da fare è ancora molto. Da un lato certe rigidità e diffidenze da parte di esponenti più conservatori di tutte le chiese coinvolte tendono a difendere posizioni e tradizioni stratificatesi nei secoli; dall’altro esistono indubbie questioni non secondarie, prima fra tutte la questione del primato del papa, e difformi concezioni sui sacramenti, tra cui Eucarestia e Ordine (gli evangelici conferiscono quest’ultimo anche alle donne mentre è considerato prerogativa esclusivamente maschile nella chiesa cattolica e in quelle ortodosse). Il passo che tutti dobbiamo fare è però un altro: bisogna che gerarchie, clero e fedeli delle varie realtà coinvolte nel processo ecumenico condividano questa direzione di marcia e lo facciano con  entusiasmo, lasciando da parte distinguo, posizioni di principio non fondamentali e particolarismi che troppo spesso frenano il processo. E poi naturalmente è necessaria la preghiera incessante e convinta perché l’auspicio di Gesù ut unum sint”, “perché siano una cosa sola”, diventi veramente realtà.


da laGuardia n.2/2017

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