C’è un ecumenismo concreto che fa bene al mondo intero

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di Giacomo D’Alessandro

Semplicità, umiltà e gioia. Il carisma di Taizé, da 80 anni. Intervista a frére John di Taizé in visita a Genova

La comunità cristiana ecumenica di Taizé, minuscolo paesino sui colli della Borgogna, in Francia, vive ormai da 80 anni, fondata da frére Roger Schulz durante la seconda guerra mondiale come luogo di pace e ospitalità dove pregare insieme cattolici, ortodossi, protestanti e anglicani. Un punto di riferimento che ha visto passare milioni di giovani, che ha dato vita ad un vero e proprio stile di preghiera internazionale che ha germogliato gruppi ed eventi in tutto il mondo. A Genova lo storico gruppo Preghiera di Taizé ha ricevuto in visita al Centro Banchi due fréres, John e Xavier, in Italia per preparare l’incontro europeo di Torino del prossimo dicembre.

80 anni di comunità frequentata da giovani di tutto il mondo. E non giovani “intruppati” ma di tantissime sensibilità spirituali diverse. Alcuni più vicini, alcuni più lontani. fr. John, come li hai visti cambiare nel tempo?

I giovani che vengono a Taizé cambiano perché il mondo cambia, e loro sono il riflesso della società. Forse conoscono meno la fede, c’è più ignoranza, c’è più diversità, ma quando vanno in profondità le domande sono sempre le stesse: qual è il senso della mia vita, che valore ha la fede, se Dio esiste, se Cristo esiste e cosa vuol dire per me… Le domande, una volta che arrivano a Taizé, sono sempre le stesse. Vengono ogni anno decine di migliaia di giovani da tutto il mondo, il numero non è sceso nel tempo, forse si è distribuito su più mesi dell’anno. In estate sono tra 2000 e 4000 persone, ma già la settimana prossima sono 2000, cosa mai accaduta a febbraio. C’è sempre stata una forte presenza da altri continenti, e anche noi a livello economico li aiutiamo a poter venire. Sono tanti soprattutto dall’Europa dell’est, ma c’è davvero una grande varietà.

E a capodanno siete voi a spostare la comunità in una grande città europea. Anche lì, venti o trentamila giovani decidono di passare un capodanno alternativo, di veglie, di incontri internazionali, di meditazione e condivisione.

Sì, continua anche l’esperienza del capodanno europeo, ogni anno in una città differente: il prossimo tra l’altro sarà a Torino. Per noi significa dare un segno che per vivere la fede non è necessario andare in un piccolo paese in Borgogna, ma si può fare ovunque. Il capodanno ha il valore aggiunto che lo prepariamo insieme alle chiese locali, condividendo il senso e l’importanza delle preghiera, della riflessione, che si può proporre ovunque con un certo stile. Per le parrocchie aprirsi ai giovani che arrivano, accoglierli e ospitarli, è un’occasione di aprirsi e di entrare in relazione con la città che vive questa esperienza.

Un intero cammino sinodale è stato dedicato ai giovani, lo scorso anno. Taizé è un osservatorio privilegiato per leggerne la realtà.

Il Sinodo sui Giovani ha aperto molte riflessioni e un processo di ascolto importante. A Taizé vediamo che molte volte i giovani non sanno cosa cercano esplicitamente, però cercano un posto dove siano presi per ciò che sono, accettati soprattutto, senza condizioni, senza requisiti da soddisfare. La chiesa dovrebbe essere questo. Quando vengono a Taizé sono colpiti che nessuno gli chieda prima chi sei, cosa credi. Accogliamo dicendo: noi viviamo così, preghiamo così, se vuoi sfrutta questa occasione e vivitela. Quello che mi piace di più è che – mi sembra – i giovani oggi non danno facilmente delle etichette, sono aperti agli altri in genere, hanno una evidente volontà di cercare amici fuori dalle proprie cerchie. Quando vengono a Taizé si trovano tra ragazzi di altri paesi, di altre confessioni, e non c’è mai un rifiuto.

Una comunità nata sulle intuizioni d’avanguardia di frére Roger, come vive oggi la presenza di Papa Francesco?

Siamo molto contenti del cammino che sta facendo Papa Francesco, è aria fresca, e nei rapporti tra le chiese e con i non credenti c’è questa apertura che non vuol dire rinunciare a ciò che crediamo, ma che la nostra fede vuole essere realmente universale, “cattolica” in questo senso. E’ davvero una bella stagione. Sono 15 anni che frére Roger è scomparso, ma io lo sento presente, trovo che la sua visione della chiesa e della fede rimane molto viva a Taizé; tutto lo spirito di essere aperti, mettere l’accento su un Dio che ama, che ti ama prima di tutto, il nostro vivere uno stile di semplicità, umiltà e gioia (come dice la regola di Taizé), tutto questo rimane davvero molto attuale e portante, anche se le condizioni sono cambiate.

Oggi la rilevanza della religiosità è sempre minore, specie in Europa. L’ecumenismo è un impegno superato?

Parlare di ecumenismo resta centrale, proprio questa era l’intuizione di frére Roger: non un ecumenismo fatto di discussioni teologiche senza fine, ma che la chiesa dia testimonianza di unità, in coerenza con ciò che predica. Se noi siamo divisi mentre predichiamo un Dio universale che ama tutti, che accoglie tutti, è ovvio che le persone non capiscono, non vengono toccate, è una contraddizione. Certo molti modi e metodi devono cambiare nella chiesa. Il lavoro teologico continuerà, e va bene, ma c’è molto più bisogno di segni concreti, di lavorare insieme, di pregare insieme.

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