Emergenza virus. Saranno ancora i poveri a pagare?

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Le conseguenze del Covid-19 non sono uguali per tutti

di Lucia Foglino, responsabile Osservatorio Povertà e Risorse – Caritas Genova

L’ultima pandemia che ha interessato pesantemente il nostro paese è stata l’influenza “Spagnola”, che ha colpito tra il 1918 e il 1920. Quindi solo gli ultracentenari possono averne una memoria diretta. Sconosciuta l’emergenza epidemia e sconosciuto il virus: è una prima volta assoluta per tutti, medici, epidemiologi, ricercatori. E anche le conseguenze economiche e sociali hanno messo e mettono a dura prova economisti e, soprattutto, operatori sociali, che si sono trovati già dai primi giorni a fare i conti con situazioni di povertà e disagio gravissime. Le tradizionali forme di solidarietà sociale, dopo un primo momento di sgomento e di interrogativi, hanno dovuto reinventare modi e tempi di ascolto e di sostegno.

La Caritas Diocesana opera attraverso i 34 Centri d’Ascolto di cui 26 all’interno del territorio del Comune di Genova. Chiusi per le disposizioni ministeriali, quasi tutti si sono attivati da subito con un telefono d’emergenza per ricevere comunque le richieste d’aiuto. Nelle prime settimane di chiusura i Centri d’Ascolto e la Caritas Diocesana sono stati raggiunti da centinaia di telefonate da parte di persone fino a quel momento sconosciute o incontrate solo sporadicamente. Tra il 9 marzo e Pasqua (12 Aprile) si è accertato che le richieste d’aiuto presso i Centri d’Ascolto sono aumentate di oltre il 10% e considerando poi il periodo successivo e quello ancora che seguirà non è azzardato stimare un aumento del 20%.

Chi sono le persone che hanno chiesto aiuto

L’ambito più numeroso è quello costituito da lavoratori e lavoratrici in nero o in grigio: persone impegnate per lo più nel settore della collaborazione domestica, dell’edilizia, della ristorazione, che hanno perso la loro fonte di guadagno e non hanno potuto accedere alla cassa integrazione. I guadagni erano comunque modesti e le famiglie non avevano risorse economiche “di scorta” per cui, da subito, hanno chiesto aiuto per poter mettere qualcosa sui fornelli e apparecchiare la tavola. Hanno chiesto aiuto anche i percettori di reddito di cittadinanza, misura economica doverosa e non rimandabile che tuttavia non ha risolto i problemi di chi non aveva nessuna fonte di reddito. Ancora, hanno chiesto aiuto i fruitori di cassa integrazione che (nel momento in cui si scrive) non è stata ancora erogata: dato fondo ai risparmi, in mancanza di sostegni familiari, queste persone hanno dovuto esplorare i canali della solidarietà sociale, talvolta con un certo pudore. Commercianti, piccoli artigiani, lavoratori in proprio a partita IVA stavano appena uscendo, con grande fatica, dalla crisi economica. Spesso contraendo debiti, spesso rateizzando spese, sempre lavorando sodo, si sono trovati a dover affrontare un periodo di inaspettata chiusura. Il contributo statale è arrivato in tempi abbastanza rapidi ma talvolta non è stato sufficiente nemmeno a coprire le spese fisse non rimandabili. Con numeri decisamente inferiori, hanno chiesto aiuto alcune famiglie che vivevano con la pensione dell’anziano genitore, morto di Covid-19. Già dagli anni ’90 si è osservato il fenomeno della dipendenza economica dei giovani adulti dalla pensione dei genitori, una forza economica inerziale, destinata a finire, a cui il virus ha dato un’accelerata improvvisa e imprevista. Ancora una volta si conferma che la famiglia è stata ed è il paracadute sociale più frequente.

Ascoltare e non solo distribuire

Un approfondimento meritano gli aspetti psicologici e relazionali, non ultimi nella valutazione della situazione sociale di questo periodo: la precarietà, l’incertezza economica, l’ansia per il domani sono spesso causa, nelle persone, di depressioni, disagio relazionale, conflitto familiare. La comparsa di un’emergenza così grave, nuova e inaspettata ha ulteriormente provato la resilienza di chi, già in tempi di normalità, doveva fare i conti ogni sera con le bollette da pagare e il frigo da riempire. L’impossibilità di uscire per un periodo così lungo, la mancanza di entrate, la paura della fame, l’umiliazione di dover chiedere aiuto hanno pesato, e pesano, sul piatto della bilancia dei poveri. L’impossibilità per i volontari dei Centri di Ascolto di incontrare le persone ha impedito, in questa prima fase, il colloquio profondo e la possibilità di comprendere l’insieme dei problemi e le potenzialità delle persone. Nelle prime settimane l’emergenza è stata affrontata purtroppo solo con la distribuzione di buoni spesa o di pacchi alimentari. Entro il mese di maggio tutti i Centri d’Ascolto hanno riaperto: il ricevimento delle persone avviene con tutte le norme di sicurezza dovute e solo su appuntamento. L’impegno della Caritas è, e sarà, affinché la solidarietà non si limiti al soccorso materiale nel momento del bisogno più acuto ma si trasformi in progetto di promozione sociale perché tutti possano avere la piena dignità di cittadini.


Articolo – in forma ridotta – tratto da Caritas Notizie – Periodico di in-formazione della Caritas Diocesana di Genova – nr. 230 / giugno 2020

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