Don Milani, un esempio da seguire

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dal nostro archivio

di Anna Maria Carosio

Dicembre 1953, Barbiana, piccola frazione di Vicchio nel Mugello. Un giovane sacerdote in esilio, don Lorenzo Milani, nessun contatto con l’esterno, niente televisione e forse neppure telefono. Con gli occhi di oggi, potrebbero sembrare i presupposti per una sepoltura in vita. Mai nessuno, a parte i parenti stretti, avrebbero più avuto notizie di prima mano di quell’anima in continua evoluzione che tanto aveva contrariato i suoi diretti superiori da averlo sepolto in quel luogo di cui solo Dio poteva ricordare l’esistenza.

Il 20 giugno scorso, a 50 anni dalla sua morte – morì infatti nel 1967, 13 anni dopo  il suo arrivo a Barbiana – Papa Francesco ha compiuto un pellegrinaggio sulla sua tomba (nello stesso giorno si reca anche sulla tomba di don Primo Mazzolari) e tutto il mondo, cattolico e non, parla di lui, nel bene e nel male. Per chi crede, come me, la risposta va ricercata nel potere dello Spirito Santo. Certo è che Don Milani, sacerdote fiorentino di origini alto borghesi, lanciò da quel luogo remotissimo un messaggio tanto forte e chiaro che lo sentiamo ancora oggi, a mezzo secolo di distanza.

Ricchissima è la sua eredità, ognuno può prenderne tutto ciò che preferisce, che meglio percepisce. L’eredità concreta di un sacerdote esiliato, quasi abbandonato alla certezza dell’oblio, che potendo ricorrere a grandi mezzi per fuggire da quel paesino e da quella situazione, decise invece di comprare una tomba nella quale un giorno essere seppellito, povero tra i poveri e i dimenticati, quelli che Dio gli aveva posto sulla strada. Da qui il senso che caratterizzò tutta la sua breve esistenza da quel momento in poi, il senso dell’inclusione. La certezza che in una società più giusta, potremmo dire parafrasando Papa Francesco, nessuno venisse trattato come uno scarto, qualcosa da sacrificare, qualcuno senza valore.

Nella nostra attuale società, i problemi che stavano a cuore al “Priore di Barbiana”, come lo chiamavano tutti, apparentemente sono superati: viviamo in una società in cui il diritto allo studio è assicurato, dove anche l’ultimo, quello più indietro rispetto agli altri, non viene dimenticato per legge, dove l’obiezione di coscienza al militare non è più un reato di diserzione, una vergogna per ogni buon cristiano che si rispetti, ma un modo per servire il paese, servendo il prossimo con il proprio tempo e le proprie giovani energie. Eppure, proprio davanti a questa società di gran lunga più attenta rispetto a  quella di 50 anni fa, mai la voce di Don Milani mi è arrivata così  chiara, quasi a domandare a me e a tutti noi: “Ma davvero pensate che la fatica di Barbiana, le persecuzioni dei benpensanti, gli egoismi dei benestanti i quali non si curavano dei poveri che pure avevano vicini, lavoravano nelle stesse fabbriche e nelle stesse campagne, frequentavano le stesse scuole, parlavano la stessa lingua, pregavano lo stesso Dio… davvero, pensate che quella fatica, quella solitudine e tenacia con cui lottai contro quei pregiudizi non possano condannare anche voi oggi? Voi, che avete una casa di proprietà, che mandate i vostri figli all’università e magari all’estero per perfezionare una lingua, voi che fate le ferie d’estate e la settimana bianca d’inverno, voi, figli di quegli emarginati di allora, voi che avete dimenticato la necessità di fuggire da una terra ingrata lasciando tutto e tutti per sfamare i propri figli… davvero voi credete di potere oggi escludere esattamente allo stesso modo i poveri, gli inutili e privi di interesse economico, fisico e lavorativo, i veri fantasmi della nostra società e di tante famiglie, e i migranti, che insieme agli altri oggi sarebbero i nuovi ospiti della mia canonica?”

Questo è molto altro sono convinta che ascolterei se da Barbiana, da quella tomba, si alzasse ancora oggi la sua voce,  la sua parola d’ordine, il suo motto: ”I care”, “Io ci tengo, mi prendo cura”.  E cura egli si è preso di tutti quelli che hanno bussato alla sua porta, che avevano bisogno di lui, vicini e lontani sia nello spazio che nel tempo. Come ha detto di lui Papa Francesco: era un buon sacerdote, un esempio da seguire. Sì, se la paura, che sempre domina la tranquillità  degli uomini,  non lo impedisce.

da laGuardia n.11/2016

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