Clausura (e libertà) del corpo e dello spirito

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Abbiamo vissuto due mesi e mezzo in “solitudine”. La testimonianza di chi lo ha scelto per la vita, monaca e madre.

di Roberta C., Giacomo D’Alessandro

Roberta è toscana, di Grosseto. È madre di due figli e monaca contemplativa claustrale. Com’è possibile tutto questo? Ascoltando lo Spirito “che soffia dove vuole” per la vita e la realizzazione di ciascuno di noi. Dopo un forte richiamo alla spiritualità contemplativa sentito già da bambina, e ritrovato da donna e da madre alla morte di Giovanni Paolo II, Roberta ha dovuto affrontare nel 2007 la scomparsa di suo marito. Come racconta in un articolo di qualche anno fa sulla rivista ‘Maria di Fatima’, “era rimasto un sogno chiuso in un cassetto, dimenticato, impolverato… Ebbene, era arrivato il momento di prenderlo in mano e di viverlo”; “ogni giorno, se non siamo distratti o superficiali, possiamo stupirci di quello che il Signore ci vuole dire e donare”. Le abbiamo chiesto che cosa possa dire la vita di clausura, scelta liberamente da una donna e una madre, a noi che ci siamo ritrovati chiusi nelle mura di casa forzatamente, a causa della pandemia.


Non esiste una ricetta per vivere in pienezza questo tempo di pandemia, e tantomeno consigli, suggerimenti e spunti che possano colmare gli spazi ristretti in cui forzatamente siamo stati costretti a vivere. Per noi monache è naturale vivere nel silenzio il nostro essere creature, rientrare in noi stessi, tornare a vivere una interiorità; e il sostegno non lo troviamo costruendoci una vita personale, quanto nella relazione con Dio.

Ma posso attingere qualcosa dai consigli evangelici che regolamentano la nostra quotidiana vita claustrale monastica. Dalla Regola del nostro padre Agostino: “Amate!” “Siate una cosa sola!”. Persino noi monache viviamo in questo periodo spazi più stretti, noi che siamo abituate a vivere fianco a fianco l’una all’altra. Ma la distanza di sicurezza che ci viene consigliata dalle autorità ci sollecita ad una più intima e profonda comunione di vita, e questo può viverlo chiunque ne abbia volontà. La convivenza ci deve spingere ancora di più a donarci reciprocamente, per crescere rimanendo uniti nell’amore. Per crescere: questo è importante in un periodo che può sembrare superficialmente “tempo perso” o “tempo da perdere”.

Gesù per noi è vita, amore e il nostro centro. Meditare i racconti della sua vita, trovare momenti di silenzio e di presenza davanti a Lui, ci può insegnare a vivere amando di più; ci può sostenere nel tempo della nostra sofferenza, del disagio, per farne occasione di rieducarci all’amare; ci può riempire il cuore di gratitudine per tutto ciò su cui nella vita “ordinaria” non ci soffermiamo, le grandi e piccole cose che passano oltre velocemente nel flusso della nostra giornata scandita da impegni.

Da parte nostra, dovete sapere che tutti i giorni vi abbiamo pensato e vi pensiamo e preghiamo per ciascuno di voi: per chi è vittima dell’epidemia, per le vostre famiglie, per chi è solo; per medici, infermieri, volontari e lavoratori; per chi tiene pulita la città e gli ospedali, per chi fa osservare le norme; e anche per i vostri desideri e i vostri sogni. In questo appuntamento con la storia, dove molti percorrono strade buie e dolorose, il modo di vivere di Gesù ci insegni che ciò che conta alla “sera” della vita è di aver amato. Santa Caterina da Siena pregava così: “O cara Mamma, insapora di dolcezza anche questa croce, che oggi pesa su tanti nostri fratelli”.

Questo momento straordinario (perché fuori dall’ordinario) ci svela che la routine ripetitiva e a volte monotona della nostra vita, questo suo continuo ruotare su se stessa, presenta una sola via d’uscita: Dio. Sta a noi renderci conto nella nostra vita di questa presenza divina, che continuamente guida, accompagna, segue la nostra esistenza. Come esclama Giacobbe nella Genesi: “Certo, il Signore è qui e io non lo sapevo!”. Al centro di noi, del nostro cuore, nell’essere uniti gli uni gli altri, noi non siamo soli e mai soli dobbiamo sentirci. Nei Profili di Cireneo, Giovanni Paolo II usa una frase semplice e bellissima per indicare come la relazione con Dio sia una via d’uscita che non ci rende soli e abbandonati, ma liberi e accompagnati: “Tu, in cui ciascuno trova il suo spazio”.

La vita di clausura è molto semplice, trova serenità e pace alternando preghiera, lavoro, studio, comunione e condivisione. Si vive una rinuncia a sé stessi in maniera naturale, mettendosi a servizio fraterno in obbedienza alla Regola e alla Superiora. E poi c’è il parlatorio, a lungo bloccato per la pandemia, ma di solito molto attivo, luogo di incontro, confronto, accoglienza, ascolto, accompagnamento delle persone che si rivolgono a noi. Non perde mai di verità la frase che Agostino scrive nelle Confessioni: “Tu eri dentro di me, e io fuori, e là ti cercavo”. La nostra vita di clausura non starebbe in piedi se non ci lasciassimo sostenere da quella che chiamiamo la grazia di Dio. Facendo conto solo su noi stesse, una convivenza del genere sarebbe improponibile.

È difficile per me parlare della sensazione bellissima che una mamma ha quando porta in grembo il proprio figlio. E poi il parto. E poi la crescita. Sono cose che a tradurle con la penna si sminuiscono, perché sono sentimenti interiori che è difficile manifestare, tradurre a parole. Però posso dire che l’essere mamma, la gravidanza, il parto, mi ha fatto sentire davvero legata alla vita nuova che dentro di me si formava, è cresciuta, è nata. Tutto questo nella vita claustrale avviene nello spirito: tutto ciò che vivi nella realtà è l’accoglienza della sorella, che genera e che si genera dentro di te. Impari ad amare la sorella perché una volta generata dentro di te, la “partorisci”, vivi un cammino con lei, condividi la vita, la quotidianità. Diventa un rapporto umano ma spirituale.

Una monaca affronta la gravidanza, il parto, per ogni parola che Dio le pone giornalmente nelle mani, perché anche la Parola si genera dentro di noi, nutre il nostro essere e la si partorisce portandola a compimento nella nostra quotidianità, in relazione con la comunità, con le sorelle. È una gestazione diversa, sono nascite diverse, però tutte attraversano come nella natura umana i travagli, i parti e le nuove vite. C’è una cosa bella che provo a condividere con voi riguardo alla nostra cella: la nostra piccola povera stanza è il grembo materno di Dio, dove Dio “partorisce” una nuova creatura.

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